Del Carcere-Scuola e dell’Ingovernabilità

 

 

schoolkills

La scuola è un CARCERE. È un carcere non perché ha orari prestabiliti, routine rigidamente delineate e rispettate o perché sono limitati gli orari di entrata e uscita. La scuola è un carcere perché quando ci stai dentro, sei solo un altro in mezzo a mille, da controllare e assicurarsi che PRODUCA risultati quantificabili. La scuola è un carcere perché è “scuola di vita”, paradigma della società e quindi propedeutica ad una cultura del giudizio, della superficialità e del giustizialismo.

La scuola non esiste in funzione degli studenti, ma paradossalmente sono gli studenti che esistono in funzione della scuola. Gli studenti servono perché la scuola vada avanti, perché ogni studente genera un flusso di capitale umano ed economico che la scuola aiuta (chi?) a capitalizzare.

A scuola ci insegnano che noi siamo lì per imparare, per prepararci a ciò che verrà dopo. Principalmente università o lavoro. Sorvoliamo sull’università (ma solo per non sparare subito sulla croce rossa). Il lavoro malpagato, a nero, senza garanzie, precario o, come sempre più spesso capita, paradossalmente GRATUITO. Il lavoro come obiettivo ultimo, la realizzazione lavorativa posta in identità con la realizzazione personale sono concetti pericolosi. Diventa necessario sapere COM’É FATTO il mondo del lavoro, e non solo propensi a sperimentarlo, ma anche entusiasti di ciò. Questo vale tanto per l’alternanza scuola lavoro, quanto per l’approccio alla scuola.

La scuola è un carcere, come quello che una volta si sarebbe chiamato “lavoro salariato”, e che adesso ha assunto molte forme differenti, mantenendo nella sostanza la sua natura di sfruttamento. Del luogo di lavoro la scuola, oltre alla scansione dei tempi e il carattere produttivo, ha l’alienazione. Gli studenti sono masse alienate da se stessi e da ciò che fanno. Dello studente, l’attività scolastica non ha nulla, e nulla l’attività scolastica ha per lo studente in sé. Lo studente è alle volte un capitale umano da investire, altre un vaso da riempire, sempre una mente da incasellare, ma mai un essere umano da formare.

La scuola è un carcere, come lo è l’ospedale. Sentiamo spesso, tra corridoi, aule e cortili, parlare degli studenti (ma anche dei docenti e del personale) come oggetti, come se non avessero una propria identità, figurarsi un arbitrio. Come il medico è depositario delle conoscenze necessarie per guarire malattie e sanare ferite, allo stesso modo l’insegnante è deputato all’educazione delle nuove generazioni. E così, dogmaticamente, l’insegnante si fa ora medico ora sacerdote, diventa guaritore degli ignoranti e possiede il fuoco mistico della sapienza. Se lo studente “non capisce”, è una sua mancanza.

La scuola così com’è fatta è, come il carcere, il lavoro o gli ospedali, strumento di controllo sociale volto a facilitare la governabilità. In questo momento la principale arma che abbiamo in mano è proprio l'”ingovernabilità” con l’autorganizzazione come STRUMENTO di un altro-fare. Costruire alternativa TRASVERSALMENTE nelle scuole, senza limitare l’esercizio dell’autorganizzazione all’assemblea di collettivo, organizzando attività autogestite volte a incontrare i bisogni e gli interessi di noi studenti, incuneando così dei momenti di socialità che dimostrino l’abissale distanza del mondo scolastico dalla realizzazione dei suddetti bisogni e interessi senza “umanizzare” il carcere-scuola, bensì dimostrandone l’inutilità.

Una delle cose di cui lo studente ha coscienza è quello dell’essere “generazione”, non in un senso aggregativo o identitario, ma riconosce negli altri se stesso in un futuro precario, accomunato agli altri dalla mancanza di certezze, tranne la necessità di sgomitare per primeggiare.

La scuola è paradigma della società. Come tale, offre uno specchio distorto della realtà in cui è inserito. Tale distorsione è data da noi, pezzi di carne che in comune hanno l’età e poco più, e che spesso senza essere forzatamente accostati avrebbero frequentato “giri” assolutamente diversi e difficilmente in contatto.

Mantenere trasversalmente la capacità di autorganizzarci, avendo l’autorganizzazione come approccio alla realtà significa interrompere il processo di molecolarizzazione che la scuola, come una mola che riduce in farina il grano, porta nelle nostre vite.

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Del Carcere-Scuola e dell’Ingovernabilità

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La scuola è un CARCERE. È un carcere non perché ha orari prestabiliti, routine rigidamente delineate e rispettate o perché sono limitati gli orari di entrata e uscita. La scuola è un carcere perché quando ci stai dentro, sei solo un altro in mezzo a mille, da controllare e assicurarsi che PRODUCA risultati quantificabili. La scuola è un carcere perché è “scuola di vita”, paradigma della società e quindi propedeutica ad una cultura del giudizio, della superficialità e del giustizialismo.

La scuola non esiste in funzione degli studenti, ma paradossalmente sono gli studenti che esistono in funzione della scuola. Gli studenti servono perché la scuola vada avanti, perché ogni studente genera un flusso di capitale umano ed economico che la scuola aiuta (chi?) a capitalizzare.

A scuola ci insegnano che noi siamo lì per imparare, per prepararci a ciò che verrà dopo. Principalmente università o lavoro. Sorvoliamo sull’università (ma solo per non sparare subito sulla croce rossa). Il lavoro malpagato, a nero, senza garanzie, precario o, come sempre più spesso capita, paradossalmente GRATUITO. Il lavoro come obiettivo ultimo, la realizzazione lavorativa posta in identità con la realizzazione personale sono concetti pericolosi. Diventa necessario sapere COM’É FATTO il mondo del lavoro, e non solo propensi a sperimentarlo, ma anche entusiasti di ciò. Questo vale tanto per l’alternanza scuola lavoro, quanto per l’approccio alla scuola.

La scuola è un carcere, come quello che una volta si sarebbe chiamato “lavoro salariato”, e che adesso ha assunto molte forme differenti, mantenendo nella sostanza la sua natura di sfruttamento. Del luogo di lavoro la scuola, oltre alla scansione dei tempi e il carattere produttivo, ha l’alienazione. Gli studenti sono masse alienate da se stessi e da ciò che fanno. Dello studente, l’attività scolastica non ha nulla, e nulla l’attività scolastica ha per lo studente in sé. Lo studente è alle volte un capitale umano da investire, altre un vaso da riempire, sempre una mente da incasellare, ma mai un essere umano da formare.

La scuola è un carcere, come lo è l’ospedale. Sentiamo spesso, tra corridoi, aule e cortili, parlare degli studenti (ma anche dei docenti e del personale) come oggetti, come se non avessero una propria identità, figurarsi un arbitrio. Come il medico è depositario delle conoscenze necessarie per guarire malattie e sanare ferite, allo stesso modo l’insegnante è deputato all’educazione delle nuove generazioni. E così, dogmaticamente, l’insegnante si fa ora medico ora sacerdote, diventa guaritore degli ignoranti e possiede il fuoco mistico della sapienza. Se lo studente “non capisce”, è una sua mancanza.

La scuola così com’è fatta è, come il carcere, il lavoro o gli ospedali, strumento di controllo sociale volto a facilitare la governabilità. In questo momento la principale arma che abbiamo in mano è proprio l'”ingovernabilità” con l’autorganizzazione come STRUMENTO di un altro-fare. Costruire alternativa TRASVERSALMENTE nelle scuole, senza limitare l’esercizio dell’autorganizzazione all’assemblea di collettivo, organizzando attività autogestite volte a incontrare i bisogni e gli interessi di noi studenti, incuneando così dei momenti di socialità che dimostrino l’abissale distanza del mondo scolastico dalla realizzazione dei suddetti bisogni e interessi senza “umanizzare” il carcere-scuola, bensì dimostrandone l’inutilità.

Una delle cose di cui lo studente ha coscienza è quello dell’essere “generazione”, non in un senso aggregativo o identitario, ma riconosce negli altri se stesso in un futuro precario, accomunato agli altri dalla mancanza di certezze, tranne la necessità di sgomitare per primeggiare.

La scuola è paradigma della società. Come tale, offre uno specchio distorto della realtà in cui è inserito. Tale distorsione è data da noi, pezzi di carne che in comune hanno l’età e poco più, e che spesso senza essere forzatamente accostati avrebbero frequentato “giri” assolutamente diversi e difficilmente in contatto.

Mantenere trasversalmente la capacità di autorganizzarci, avendo l’autorganizzazione come approccio alla realtà significa interrompere il processo di molecolarizzazione che la scuola, come una mola che riduce in farina il grano, porta nelle nostre vite.

Arriva arriva quello che deve arrivare

Prossimamente su carta...

Non vorrete perdervelo?

E ancora non avete visto la copertina!

Menata about Invalsi

Scansione 16

Per saperne di più su Menata

 

https://www.facebook.com/menata110/?fref=ts

 

 

 

 

NESSUNA AGIBILITÀ PER RAZZISTI E FASCISTI

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Pubblicato su TUTTOSBAGLIATO n. 0 (maggio 2016)

 

Condividiamo e rilanciamo l’appello dei compagni e delle compagne di Ex Caserma Liberata. Per la chiusura di tutte le sedi fasciste.

La città di Bari, nonostante sia medaglia d’oro alla Resistenza, è sempre stata una città mercantile e di destra, dove razzisti e fascisti hanno molto spesso goduto di coperture politiche e militari. Dai tempi di Nicola Lamaddalena, sindaco della Democrazia Cristiana, che coprì vergognosamente le responsabilità del MSI nel brutale assassinio di Benedetto Petrone, alla infame complicità dell’agente di polizia Francesco Tiani che nel 2003 fu correo di Forza Nuova nel tentato omicidio di un compagno nel 2003 (condannato insieme a 9 fascisti nel relativo processo), sino ad oggi dove protetti dal potere politico di una circoscrizione storicamente di destra, i fascisti di casapound aprono una sede nel rione Libertà. Casapound, i cui militanti si definiscono orgogliosamente “fascisti del terzo millennio”, sin dalle sue origini basa la propria azione politica sulla discriminazione del diverso, sia esso immigrato, omosessuale, indigente o genericamente “di sinistra”. Da un lato si presenta come partito politico alle elezioni, soffiando sul fuoco dell’odio contro gli stranieri, dall’altro veste i panni di presunte associazioni culturali, scolastiche, sportive, ecologiste quali: sovranità, la salamandra, gr.i.m.e.s., solidarité identités, blocco studentesco, sindacato blu, il circuito e la foresta che avanza. Attraverso queste associazioni casapound raccoglie fondi, per sostenere la sua attività di propaganda dell’odio anche in scuole e università. A riprova di ciò, in tutta Italia, sono numerosi gli attacchi a danno di chi non risponde ai criteri di “italianità” pensati da casapound.

Dal 2011 a oggi, 20 arresti e 359 denunciati tra militanti e simpatizzanti di casapound per azioni violente (nei confronti di immigrati e richiedenti asilo, come l’anno scorso a Casal San Nicola a Roma, contro antagonisti e militanti di sinistra, contro giornalisti, scrittori ed infine fumettisti) o per reati connessi al narcotraffico e allo sfruttamento dell’emergenza clandestini (vedi l’inchiesta di Roma Capitale).

Come spesso accade in Italia, godono di ampia complicità e copertura fra gli appartenenti alle diverse forze dell’ordine e fra gli organi dello Stato che ne legittimano e difendono l’esistenza. Sono di poco tempo fa le dichiarazioni del prefetto Mario Papa, direttore centrale della Polizia di Stato. Papa, in una nota informativa del ministero dell’interno inviata al tribunale di Roma, dipinge questi soggetti come innocui giovanotti partecipi nel sociale, oltre che quelle del ministro del terrore Angelino Alfano che glissa sulle violenze squadriste e spesso le riduce ad episodi di scontro fra estremisti nella solita logica farlocca delle opposte fazioni.

Casapound, facendo leva sulla rabbia e l’insoddisfazione che la gente vive, in un periodo di crisi che parte dall’economia ma investe ogni ambito della vita individuale e collettiva, spinge alla guerra fra poveri, alimentando l’odio razziale e tentando di identificare nello straniero e nel diverso la causa dei nostri problemi. Nelle ultime settimane casapound ha messo in campo una campagna di aggressioni e intimidazioni quotidiane. Davanti ai campi Rom, davanti ai licei, nei quartieri, di fronte ai centri di accoglienza, ogni giorno i militanti neofascisti minacciano, insultano e provocano chiunque abbia idee diverse dalle loro o un altro colore della pelle. Tutto questo avviene spesso di fronte agli agenti di polizia che difendono la propaganda xenofoba e la prevaricazione fisica come se fosse normale attività elettorale.

Tutto questo lo stiamo ricominciando a vedere e a vivere anche a Bari. Da quando i razzisti di casapound hanno aperto la loro sede in via Eritrea, nel rione Libertà a Bari, si è passati rapidamente dalle decine di scritte omofobe, razziste e fasciste, alle aggressioni verbali e fisiche ai danni di militanti e studenti dei collettivi autonomi e persone genericamente identificate come appartenenti o vicine all’area dell’antagonismo, agli agguati con le bombe carta alle 2 di notte per le strade del quartiere, sino alle aggressioni di stampo squadristico, in dieci “contro” due, armati di coltelli e spranghe.

L’apertura della sede di casapound a Bari coincide con il nuovo piano sicurezza del ministro del terrore Angelino Alfano. Chissà come mai ogni volta che qualcuno decide di alzare il livello di controllo e di repressione sulla gente, di riempire la strade di polizia, i fascisti si riversano per le strade, perché è in questo clima di tensione che i fascisti del terzo millennio s’insinuano, alimentando la distanza tra chi vive ai margini della società e coloro che si possono comprare una idea di futuro.

Sino ad oggi nella città di Bari, la questura, la prefettura, le autorità cittadine hanno lasciato completa agibilità a questi razzisti sino al punto tale da ritrovarci con ben 3 sedi fasciste in città, tra luoghi di ritrovo, come il covo del klan in via Benedetto Croce e l’artemisia in Via De Rossi e la sede di casapound in via Eritrea.

E’ oramai evidente che la radicazione di formazioni razziste e fasciste in città non possa più essere né concessa, né tollerata. Noi non ci siamo mai tirati indietro e siamo stati sempre nelle strade e nelle piazze per rivendicare e praticare l’antifascismo negando a costoro agibilità politica perché conosciamo la storia passata ed il presente, e non intendiamo abdicare ad un futuro dove razzismo, omofobia, intolleranza e discriminazione possano essere cancellati.

Nell’attesa che la città prenda posizione noi continueremo la nostra lotta per la chiusura di tutte le sedi fasciste in terra di Bari.

COLLETTIVO EX CASERMA LIBERATA

 

Due righe sul 12 maggio NOINVALSI – Omologare È reprimere. Reprimere per omologare.

12MAGGIO

Pubblicato su TUTTOSBAGLIATO n. 0 (maggio 2016)

 

Il 12 maggio siamo scesi in piazza per boicottare i test INVALSI. In diverse scuole, oltre al clima di repressione e controllo che prosegue ininterrotto e trasversale in tutte le scuole dall’inizio dell’anno, i presidi hanno preso iniziative per tentare di ostacolare il boicottaggio. Ad esempio, al Marco Polo (Linguistico e ITC) il preside ha minacciato alcuni studenti di “alzar loro le mani” se avessero boicottato le prove, uno studente dello SMAB si è “messo in mezzo” e pochi giorni dopo è stato sospeso; al De Nittis alcuni studenti nei giorni precedenti la manifestazione e anche quella stessa mattina sono stati minacciati di vedersi abbassare il voto di condotta se non fossero entrati regolarmente in classe. I test sono stati comunque boicottati in numerosissime scuole nonostante i tentativi di intimidire gli studenti, portati avanti anche dagli stessi professori.

I docenti ancora una volta non hanno voluto riconoscere il fatto che siamo sotto lo stesso schiaffo, vinti chi dal ricatto del lavoro chi da una sincera fede nei metodi repressivi, e si sono fatti strumenti di questa strategia repressiva. Le parole che più spesso ci siamo sentiti dire è che scendevamo in piazza perché siamo “nullafacenti”, dato estrapolato principalmente sulla base del rendimento scolastico. I test INVALSI sono il prototipo della scuola verso cui stiamo andando: una scuola che si limita a far accumulare nozioni agli studenti per spingerli verso dinamiche di semplice problem solving (con soluzioni prestabilite) senza possibilità concesse allo spirito critico per svilupparsi. Sono il prototipo di una scuola che lascia indietro chi è in difficoltà, che pretende l’eccellenza e la pretende rigidamente irreggimentata.

Il corteo si è mosso da piazza Umberto dopo aver deciso il cambio di destinazione a causa della pioggia: invece che a Parco 2 Giugno, l’arrivo del corteo è stato spostato in Ex Caserma Liberata. Il percorso del corteo passava davanti alla sede barese di Forza Nuova, il pub “Il Covo del Klan”, che è stato sanzionato con lanci di uova. Nel frattempo al De Nittis – Pascali (Artistico) mentre noi eravamo in piazza è stato convocato un consiglio di classe straordinario al fine di sanzionare gli studenti e le studentesse che hanno preso parte alla manifestazione. Appresa la notizia al termine del corteo, ci siamo diretti verso il liceo artistico e lì ci siamo riuniti in presidio per protestare contro l’ennesima mossa repressiva della presidenza. La preside Irma D’Ambrosio aumenta ancora il peso della repressione e dei ricatti verso chi si sposta dall’immaginario di “studente modello” o s’impegna per creare una scuola e una società differenti, rifiutando con loro ogni forma di dialogo e svuotando quelle ufficiali di ogni significato reale o presunto.

Il consiglio del 12 è stato annullato, ma non è detta l’ultima parola. Quando gli studenti medi SI ORGANIZZANO, dentro e fuori le scuole, sanno che devono far fronte alle minacce, ai provvedimenti, e allo sminuire costante da parte dei docenti di tutto ciò che dicono. Agli studenti queste minacce pesano nella vita di tutti i giorni, nei rapporti sociali e nella vita scolastica. Nonostante ciò, noi continuiamo a scendere in piazza perché le nostre ragioni sono più grandi delle loro minacce, e soprattutto perché (e i fatti avvenuti al De Nittis il 12 lo dimostrano) SOLO LA LOTTA PAGA.

Stiamo organizzando il presidio per la data in cui sarà fissato il consiglio di classe del De Nittis, che appena sapremo renderemo nota. Ci rivediamo nelle scuole, nelle strade, nelle piazze a far sentire le nostre voci, contro ogni repressione!

 

Coordinamento SMAB – Studenti Medi Autorganizzati Bari

 

Prove autentiche, INVALSI: test d’omologazione – Le crocette sulle spalle degli studenti in una via crucis che ha del ridicolo

escape_capitalism

Pubblicato su TUTTOSBAGLIATO n. 0 (maggio 2016) e StudAut 

Nelle ultime settimane sono state somministrate le prove autentiche di Italiano, Matematica, Inglese, Scienze e Tedesco.

Ma cosa sono le prove autentiche?

Dopo diverse richieste di spiegazioni per capire quale fosse effettivamente lo scopo di queste prove e quale fosse la tipologia dei quesiti, ci sono state date risposte vaghe, spesso differenti da professore a professore e non completamente corrispondenti alla realtà. Ci è stato detto che queste prove, uguali, per classi parallele, somministrate in quarto e quinto ginnasio, sono funzionali a capire, attraverso una valutazione oggettiva, quali classi non hanno raggiunto il livello di apprendimento prefissato dal PTOF. Queste prove si inseriscono nel “Piano di Miglioramento” che deve garantire la realizzazione, attraverso le pratiche scelte dalle scuole, degli obiettivi prefissati. Il PdM inoltre costituisce un criterio di valutazione esterna e di successiva classificazione delle scuole-stakeholder. Ci è stato anche detto che le prove autentiche misurano le competenze, ovvero ciò che ogni studente sa fare con le conoscenze acquisite e verificate attraverso le prove tradizionali e che non ci sarebbero state sottoposte nella forma delle Invalsi, per quanto qualche professore abbia anche affermato il contrario. Inoltre, queste prove si dovrebbero differenziare dalle Invalsi, non solo per la tipologia dei quesiti, ma anche perché gli argomenti devono essere stati svolti da tutte le classi parallele e non decisi da un istituto esterno (come l’INVALSI), ma dai docenti del dipartimento della materia interessata. Ci è stato riferito, infine, che le prove autentiche possono essere considerate una strategia di confronto fra professori sul miglioramento dei metodi didattici attraverso la condivisione e lo scambio.

Alla luce di quanto abbiamo appreso e abbiamo verificato attraverso lo svolgimento delle prove, sono scaturite riflessioni e discussioni in diverse classi da cui sono emersi dubbi sulla validità del metodo e dello scopo di queste prove, e si sono riscontrate anche contraddizioni con quanto ci era stato riferito.

Ciò che contestiamo delle prove Invalsi, e che troviamo analogo nelle prove autentiche, è l’impossibilità di poter valutare oggettivamente, con prove uguali e standardizzate, le conoscenze, le competenze e la capacità logica degli studenti e delle studentesse. Ciò non è possibile perché già a livello nazionale sono evidenti le grandi differenze da scuola a scuola derivanti dal contesto socio-culturale ed economico; mentre a livello scolastico, per quanto possa sembrare meno evidente, si possono riscontrare differenze da classe a classe e anche da professore a professore. Ogni docente, ogni studentessa e ogni studente, infatti, ha una propria soggettività, ha compiuto percorsi didattici differenti, ha situazioni personali, scolastiche, sociali e di provenienza diverse; mentre le classi, anche nel contesto della singola scuola, non sono sempre allo stesso punto del programma e non hanno professori uguali che insegnano nelle medesime modalità o che pretendono lo stesso. Valutare con gli stessi criteri così tanti studenti e di conseguenza così tanti professori diversi, non risulterebbe una sorta di generalizzazione dell’apprendimento?

Il 15 aprile è stata somministrata la prova autentica di Italiano. Si è data una quantità di quesiti giustamente proporzionata al tempo, infatti i ragazzi hanno potuto ricontrollare con calma le risposte date; erano presenti domande a risposta multipla e domande aperte.

La prova di Matematica è stata somministrata il 20 aprile. I quesiti erano perlopiù a risposta multipla.
Il 28 Aprile è stata svolta la prova autentica di Inglese. La prova era divisa in due  parti, una di comprensione del testo, e una di grammatica, entrambe a risposta multipla.

Il 27 Aprile, per le classi dei corsi tradizionali, è stata somministrata la prova autentica di scienze. La prova era costituita da quesiti a risposta multipla, di cui per ognuno bisognava riportare la motivazione della scelta su un foglio bianco allegato.

Il 4 Maggio gli studenti frequentanti le classi del corso internazionale hanno sostenuto la prova autentica di lingua tedesca. I quesiti erano tutti a completamento o aperti.

Attraverso il confronto tra le varie classi  e le varie scuole, sono emersi dubbi e incertezze sulle prove. Al “Socrate”, per quanto riguarda la prova di italiano, era presente un brano di L. Sciascia che trattava la tematica dell’emigrazione degli italiani verso gli Stati Uniti nel secondo dopoguerra. Probabilmente un modo per riflettere, attraverso il confronto col passato, su un tema di grande attualità: le migrazioni. Ma le risposte a domanda multipla appiattivano completamente una tematica così ampia, delicata e particolare e neanche nelle domande aperte c’era spazio per un commento e/o per un’analisi critica dell’argomento, limitando e non stimolando così le considerazioni  individuali e lo sviluppo di pensieri propri. Forse perché domande che incentivavano il pensiero critico del singolo, non avrebbero garantito la completa oggettività della valutazione?

Per quanto riguarda la prova di Matematica di quinto ginnasio, i quesiti rispecchiavano esattamente la tipologia e gli argomenti (proporzionalità, statistica, previsioni …) delle Invalsi: le domande erano ambigue, con trabocchetti, e di fatto non stimolavano lo studente ad esercitare sempre il ragionamento e ad applicare le conoscenze acquisite durante l’anno. Molti degli argomenti cui facevano riferimento le domande non erano stati trattati o approfonditi durante le lezioni per molte classi (infatti talvolta è accaduto anche che tali argomenti siano stati spiegati qualche giorno prima della prova) e non erano proposti nella maniera a cui i ragazzi e le ragazze si erano esercitati/e fino a quel momento; mentre altri argomenti, come ad esempio quelli di geometria, appartenevano al programma di quarto ginnasio.

I quesiti della prova di Scienze non rispecchiavano sempre gli argomenti svolti durante l’anno e l’intera prova era strutturata come un problem solving, non sempre presente nelle tipologie di esercizi a cui i ragazzi e le ragazze delle varie classi erano stati abituati. Le domande erano spesso a trabocchetto e/o poco chiare.

La prova autentica di Tedesco, per le classi quinte del corso internazionale, presentava un esercizio di grammatica, uno di traduzione e un brano con le relative domande di comprensione. Dal momento che le classi coinvolte sono solamente due per anno, riteniamo che la prova fosse ben strutturata, in quanto è più facile che fra due soli corsi gli argomenti trattati siano simili.

Per quanto riguarda la prova di Inglese, le domande relative alla parte grammaticale, dal momento che le risposte non potevano essere soggette all’interpretazione del singolo, erano adatte per essere formulate a risposta multipla. Ma, in particolare in questo caso, si è notato il problema delle differenze fra le classi e indirizzi (tradizionale  e internazionale): infatti, per garantire una prova parallela che desse la possibilità a tutte le classi di rispondere ai quesiti, è risultato, a volte, che la prova fosse anche troppo semplicistica e non rispecchiante gli argomenti svolti durante quest’anno. Ad esempio le classi del corso internazionale al Socrate (potenziamento in tedesco e matematica), dovendo completare il percorso di Inglese entro tre anni, sono più avanti nel programma. Mentre per la parte di comprensione, è sempre presente la problematica della risposta a crocetta.

Alla base dei test a risposta multipla c’è infatti l’idea che sia possibile valutare oggettivamente e scientificamente l’apprendimento, la conoscenza, le competenze, le capacità di ragionamento e logica degli studenti e delle studentesse. Ci sembra però impossibile ridurre a una serie di numeri e punteggi quella che è l’enorme complessità e varietà che caratterizza la popolazione scolastica e le capacità intellettive dei/delle singoli/e alunni/e nell’analisi di un testo o nella risoluzione di un problema.
Un conto è la formazione da parte dello studente di un proprio punto di vista, di propri strumenti e ragionamenti, tutt’altra cosa è l’imposizione di una capacità di problem solving finalizzata solo alla risoluzione di un problema che viene assegnato e che non è coerente con il percorso didattico dell’anno, probabilmente solo per farci abituare al fatto che questo tipo di test sta entrando sempre di più nel mondo dell’istruzione, in particolare quello universitario, e nel mondo del lavoro.

Fra tutte, la prima contraddizione che abbiamo riscontrato consiste nel fatto che ci era stato garantito che queste prove non sarebbero state propedeutiche alle Invalsi e che non avrebbero dovuto rispecchiarne la tipologia, ma evidentemente così non è stato. Di conseguenza, la trasparenza che come studenti ci aspettiamo, e che deve essere reciproca con i docenti e la dirigente, è stata in parte tradita.

I docenti, inoltre, ci avevano assicurato che gli argomenti presenti nella prova sarebbero stati perfettamente coerenti con il programma svolto durante l’anno e che, anche nel caso ci fosse stata una singola classe che non aveva trattato un argomento, quell’argomento sarebbe stato eliminato dalla prova. Ma con l’introduzione della “Buona Scuola”, essendo gli/le insegnanti in una continua posizione di precarietà, ed essendo sempre soggetti a valutazioni, perché da queste dipenderanno anche i loro aumenti di stipendio, è comprensibile che non possano sempre dire con tranquillità gli argomenti svolti e quelli non svolti. Infatti queste prove potrebbero essere un’occasione di condivisione e di scambio per migliorare il tipo di didattica di ogni professore, se questi non fossero continuamente in un clima di competizione e in un ambiente che impone la gerarchizzazione e la meritocrazia, nonostante queste dinamiche non siano sempre volute e accettate dai docenti stessi.

L’ultimo dubbio che è sorto riguarda la validità dello scopo. Noi studenti riteniamo sbagliata e non condivisibile l’idea di poter valutare oggettivamente così tanti studenti perché la soggettività del singolo dovrebbe essere solo un motivo di arricchimento per la scuola e non un ostacolo per il suo miglioramento.

Inoltre non riusciamo a capire a fondo fino a che punto sia legittimo utilizzare per la valutazione del singolo il voto conseguito con questo genere di prove, il cui scopo dovrebbe essere quello di verificare l’andamento e di incentivare il miglioramento della didattica della nostra scuola a livello generale. Infatti a che serve tenere conto del voto del/della singolo/a alunno/a se si vuole capire l’andamento generale dell’Istituto e in quali classi ci sono problemi? In tal senso troviamo che lo scopo che si ripropongono le prove autentiche non sia raggiungibile e realizzabile anche per l’impossibilità di avere una completa oggettività di valutazione.
In conclusione riteniamo che nella nostra scuola sia più importante concentrarsi su altre problematiche che hanno un forte impatto, sia pure meno evidente, sulla qualità della didattica, come l’edilizia e la manutenzione della sede succursale, o l’organizzazione di tempi e spazi per permettere, a tutti gli studenti che vogliono, di proporre in prima persona esperimenti ed esperienze di didattica alternativa, piuttosto che sull’illusorio raggiungimento dell’oggettività come punto di partenza per un miglioramento generale.

 

Le quinte ginnasiali del Liceo Classico Socrate

 

“Perché avete boicottato i test?”

pensainformatilotta

Pubblicato su TUTTOSBAGLIATO n. 0

La preside del Liceo Classico Socrate ha chiesto tramite circolare di articolare per iscritto le motivazioni per le quali il 12 maggio gli studenti hanno boicottato le prove INVALSI. La risposta di una classe.

 

Abbiamo boicottato i test INVALSI per diversi motivi.  Le Invalsi sono dei test che vengono fatti svolgere in seconda e quinta elementare, prima e terza media e seconda superiore (anche se recentemente si sta proponendo lo svolgimento degli Invalsi anche in quinto superiore e all’università).  Queste prove riguardano la Matematica e l’Italiano e, come precisato sul sito stesso dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, la loro “mission”, ovvero il loro scopo (dei test come dell’Istituto), è quello di concentrarsi “sugli aspetti valutativi e qualitativi del sistema scolastico”. Ciò si traduce in test che dovrebbero fornire, attraverso i risultati, dati statistici utili al miglioramento delle scelte di governo per quanto riguarda il sistema di istruzione. Inoltre queste prove si inseriscono in un orizzonte più ampio con il progetto OCSE-PISA, dal momento che si sta cercando di inserire questo tipo di valutazione in ambito internazionale per creare omogeneità tra i livelli di istruzione di paesi economicamente sviluppati. A nostro parere gli Invalsi presentano contraddizioni, non sono coerenti ed efficaci rispetto allo scopo che si prefiggono. Innanzitutto se il loro scopo è quello di raccogliere dati statistici – tant’è vero che ci vengono presentate come prove anonime – a che serve avere un codice che identifica ogni singolo alunno e che tradisce anche l’anonimato? A nulla, se non ad effettuare una vera e propria schedatura delle competenze dai sette anni in su. Si tratta di una tracciabilità che non ha nessuna utilità ai fini statistici. Se si vuole fare un’indagine davvero anonima, si entra nelle classi, si distribuiscono i quiz e si analizzano;  non è necessario sapere quale studente o quale studentessa ha fatto il test, ma, da un punto di vista statistico, è necessario conoscere l’età, la collocazione geografica della scuola, il numero di alunne e alunni per classe, ecc., non il nome. Lo scopo delle Invalsi, inoltre, dovrebbe essere quello di migliorare le scuole, ma il miglioramento consisterà nel sostenere chi ha già le possibilità per andare avanti e lasciare indietro chi è in difficoltà senza prendersene cura; infatti, chi otterrà risultati migliori riceverà ancora più finanziamenti, chi ne otterrà di peggiori riceverà ancora meno sostegno economico. In questo modo una scuola sempre più o del tutto priva di fondi, pur di ottenere anche irrisori aiuti economici, si ritroverà costretta a competere con le altre scuole per garantire il regolare funzionamento dell’istituto. Far competere le scuole per finanziamenti che dovrebbero essere stanziati e garantiti per tutti, porta così alla gerarchizzazione delle scuole su base meritocratica e alla loro distinzione tra “scuole di serie A” e  “scuole di serie B”. Questo senza considerare che le disuguaglianze sono causate dal contesto socio-culturale ed economico in cui ogni scuola è calata e non necessariamente dalla non adeguata preparazione dei docenti e/o degli alunni/e. Ma il sistema Invalsi ignora completamente le grandi differenze che ci sono da scuola a scuola e, in questo modo, le accentuano. Gli Invalsi, inoltre, discriminano le diversità, che dovrebbero essere motivo di arricchimento per la scuola. I risultati delle prove di coloro che hanno disabilità intellettive o altri tipi di disabilità, nel caso la scuola dovesse decidere di far svolgere loro la prova, divengono completamente inesistenti, dal momento che non vengono considerati; studenti e studentesse affetti/e da DSE (disturbi evolutivi specifici) svolgono le prove nelle stesse condizioni degli altri ed è facoltà della scuola decidere se fornire o meno strumenti compensativi; chi si trova in svantaggio socio-economico, culturale e linguistico dovrà svolgere le prove nelle stesse condizioni degli altri e delle altre, e non avrà neanche la possibilità, nel caso ci fosse la volontà della scuola, di usufruire di altri supporti. Di conseguenza se si è migrante, disabile, se non si hanno condizioni familiari favorevoli, se non si ha una condizione economica positiva, se nella propria classe non si sono raggiunte le competenze previste, si è automaticamente tagliati fuori.

Per questi test, da quest’anno fino al 2019, grazie alle Legge di Stabilità 2015, sono stati spesi e saranno spesi 24 milioni l’anno. Negli anni precedenti la cifra ammontava a circa 12 milioni l’anno. In entrambi i casi non si tratta di cifre irrilevanti, tenendo conto anche del fatto che spesso le scuole non hanno possibilità di avviare i progetti pomeridiani o hanno la possibilità di avviarli in parte, come è accaduto al Socrate, o non hanno la possibilità di acquistare oggetti di vitale importanza per alunni/e e non solo (come ad esempio succede per l’acquisto dei defibrillatori) o per curare la manutenzione dell’istituto (ne è un chiaro esempio la condizione in cui versa la sede succursale del Socrate ormai da anni). Ci chiediamo perché sia necessario spendere così tanto per questi test – oltretutto contestati da anni dall’intero mondo dell’istruzione –  ma non sia altrettanto necessario un aiuto diretto alle scuole per il loro miglioramento e buon funzionamento.  In tal modo la scuola, sempre più o quasi completamente priva di fondi a causa dei tagli e della privatizzazione attuata dalla “Buona scuola”, viene ulteriormente privata di soldi pubblici, destinati solo a pochi fortunati.

Inoltre questi test si prefiggono di valutare oggettivamente la conoscenza, le competenze e la capacità logica degli studenti e delle studentesse le cui competenze, in nome dell’ “oggettività” di queste prove uguali e standardizzate,  vengono quantificate attraverso una serie di crocette e non attraverso la capacità di analisi e di pensiero critico. Di conseguenza gli Invalsi riducono la materia ad un mero “problem solving”, non curante di tutte le peculiarità e diversità di provenienza, programmi svolti, situazioni personali, economiche, sociali dei professori e delle professoresse, degli studenti e delle studentesse e di tutte le scuole del paese.

Siamo giunti a queste conclusioni dopo un percorso di informazione e riflessione che ci ha coinvolto da marzo attraverso momenti di confronto durante assemblee di classe, assemblee d’istituto e di collettivo. Abbiamo scelto di boicottare i test Invalsi completamente coscienti delle motivazioni qui riportate, convinti e uniti nella nostra decisione.

Gli studenti della VK

 

Scuola, Obbligo, Frustrazione – Sovverti lo stato delle cose!

rivoluzionesocrate

Questo articolo è uscito su TUTTOSBAGLIATO n. 0 in MAGGIO 2016

 

 

 

 

 

Ogni studente sa cosa deve sopportare giorno dopo giorno in termini di stress e ansie da prestazione, vòlte alla realizzazione di tutti gli obiettivi che ci troviamo all’orizzonte. Fino al diploma, la nostra vita è un susseguirsi continuo di interrogazioni, compiti in classe, “studio matto e disperatissimo”. Tutto ciò serve perché ci hanno detto che la scuola serve a crescere, che è palestra di vita, che è necessaria per essere “cittadini”. Ma noi a scuola cosa facciamo?

Ogni giorno noi entriamo in classe e ci troviamo davanti spesso docenti stressati e umiliati, e altrettanto spesso docenti annoiati e incattiviti che ci considerano branchi di somari ai quali è impossibile insegnare qualcosa senza una buona dose di minacce, urla, brutti voti. Tutto ciò mentre i dirigenti scolastici (grazie alla Buona Scuola) impartiscono ordini ed elargiscono ricompense o punizioni.

E così il modello della scuola omologatrice prende sempre più piede, perché se l’obiettivo non è formare degli individui pensanti, ma gestire un qualsiasi posto, il modo più rapido e (apparentemente) efficace per farlo è minacciando severi provvedimenti verso chiunque infranga le regole o vada “contro” il “senso civile”.

La nostra è una società che idolatra il decoro come unica forma di civiltà, definendo “contrario al decoro” tutto ciò che va in contraddizione con l’idea della vetrina. Vale per le nazioni, vale per le città, per le piazze e per le scuole. Ad ogni livello il processo non è migliorare la condizione di ognuno, ma fare in modo che le differenze vengano ignorate e nascoste, additando come responsabile del loro aggravarsi e allargarsi i “diversi”, siano essi diversi per etnia, orientamento religioso, politico, stile di vita.

Nella scuola, il modo migliore per rendere odioso qualcuno è farlo apparire responsabile del peggioramento delle condizioni di tutti gli studenti. Serve a spaccare l’unità che tra studenti dovrebbe esserci, per creare dei capri espiatori e far chinare la testa a tutti.

Quest’anno l’aria nelle scuole di Bari (e non solo) è stata piuttosto pesante. Forti dei nuovi poteri concessi loro dalla Buona Scuola, i presidi hanno subito iniziato a saggiarli. Ed è così che gli studenti che hanno partecipato alle occupazioni di alcune scuole si sono visti precipitare in testa provvedimenti disciplinari di ogni tipo, dalla sospensione all’abbassamento del voto di condotta; allo stesso modo, gli studenti che si sono assentati nei giorni delle manifestazioni di piazza sono stati sanzionati in sede di consiglio di classe, minacciati nei giorni precedenti, o costretti a presentare un certificato medico anche per assenze di un solo giorno.

Abbiamo visto presidi chiamare ripetutamente polizia e finanzieri nelle proprie scuole, per “combattere il fenomeno dello spaccio”, senza costruire nessun tipo di percorso preventivo in questo senso, ma scagliandosi contro di esso semplicemente con la forza bruta di cani e poliziotti che perquisiscono corporalmente studenti minorenni e disorientati.

Abbiamo visto studenti presi di mira per il proprio vestiario, accusati di vandalismo e sospesi per questo senza che nessuno potesse dire nulla a proposito.

Abbiamo visto i nostri professori definire la loro assoluta chiusura “tutelare gli studenti”, anche quando si scagliavano sulle nostre teste con minacce, ricatti e sanzioni, e ognuno ha tratto la propria conclusione.

Abbiamo visto gli stessi professori costretti a ignorare le immense mancanze delle nostre scuole e imbastire corsi a volte vuoti di qualsiasi contenuto, pur di gonfiare le aspettative dei genitori che iscrivono i figli a scuola e la vedono solo durante gli open day.

Abbiamo visto anche i frutti di questa strategia, negli studenti disorientati che sottostavano alle logiche ricattatorie. C’è chi ha accettato lo stato di cose, e chi no.

L’alternativa sta nella costruzione di spazi di condivisione e autorganizzazione, che dal basso diano spazio ai bisogni degli studenti, troppo spesso ignorati e costretti in rigidi comportamenti tutti uguali, che nulla hanno a che vedere con la sempre sbandierata
“convivenza civile”, feticcio inviolabile nel cui nome abbiamo sopportato fin troppo.

Abbiamo deciso di scendere in piazza, di occupare le scuole, di impiegare parte del nostro tempo per la realizzazione di OASI che fossero libere dalle minacce che sopportiamo ogni giorno, figlie dei tempi e dei modi di una società troppo spesso improntata al profitto e troppo di rado disponibile alla crescita e al rispetto di esigenze, attitudini e peculiarità di ognuno. Lo facciamo ogni giorno, coprendoci di domande per capire come funziona il mondo intorno a noi, per cercare soluzioni per farlo andare un po’ meglio, partendo dal quotidiano di tutti noi.

Perché noi vogliamo ROMPERE con lo schifo che abbiamo intorno. Vogliamo rompere in ogni momento della nostra vita, inventando modi diversi di condurla, rifiutando le schedature, le omologazioni e i ricatti ad esse correlati.

Essere studenti significa sapersi costruire le mappe necessarie a leggere la realtà, significa saper costruire rapporti di causa e effetto, uscire dalla concezione nozionistica di sapere, LIBERARE la cultura dai compartimenti stagni nei quali è segregata.
Essere studenti coscienti significa SOVVERTIRE la compilazione della mappa fornitaci, per osservare quanto ci sta intorno e metterlo in relazione con quanto accade lontano da noi.

Continueremo a sognare una scuola diversa, un mondo diverso, e a lottare per essi. Non importa quanto ci minacceranno, né quanto ci vorranno ricattare e immobilizzare.

 

COORDINAMENTO SMAB – Studenti Medi Autorganizzati Bari